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Stefano Lecchi ed il reportage di guerra: Roma 1849

13 Agosto 2020

Musei e biblioteche del nostro paese possiedono fondi fotografici di grande valore; parte di questo patrimonio è stato studiato, catalogato, restaurato, ma certamente resta ancora molto da fare.
Marina Miraglia in un’intervista rilasciata a Luisella d’Alessandro e pubblicata sul Rapporto Fotografia (Il giornale dell’Arte n° 192, ottobre 2000) diceva: “L’interesse dello Stato potrà certamente avere una funzione di tutela della fotografia, non solo come bene culturale (come avvenuto attraverso la scheda catalografica F) influenzando la valorizzazione dei consistenti fondi storici, ma anche sul mercato contemporaneo, attraverso istituzioni museali che ne diventino punto di riferimento.”
….L’interazione fra politica istituzionale e mercato dell’arte produrrà certamente i suoi frutti ed in attesa di nuove istituzioni museali l’auspicio è di un numero sempre maggiore di occasioni per conoscere autori e vedere le immagini conservate.
La mostra prodotta dalla Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea “Fondare la nazione. I Repubblicani del 1849 e la difesa del Gianicolo” (1° marzo – 5 maggio 2001), ma soprattutto la successiva pubblicazione del catalogo “STEFANO LECCHI – Un Fotografo e la Repubblica Romana del 1849″ (Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Ufficio Centrale per i Beni Librari le Istituzioni Culturali e l’Editoria – Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea, a cura di Maria Pia Critelli, Roma, Retablo, 2001) costiuisce una di queste ghiotte occasioni.
….La pubblicazione permette di definire meglio la figura e l’attività del fotografo grazie ai ritrovameti avvenuti nel 1997 presso la Biblioteca (da parte della stessa Miraglia) di quarantuno carte salate originali del reportage realizzato subito dopo la rivoluzione romana e di venti carte salate (dodici relative ai fatti di guerra e otto vedute di monumenti e piazze di Roma) ritrovate da Silvia Paoli nel 1998 presso la “Civica Raccolta delle Stampe Achille Bertarelli” di Milano.
Dopo tali acquisizioni Stefano Lecchi assume definitivamente un posto rilevante nella storia della fotografia.

Le immagini riprodotte nel catalogo costituiscono un percorso documentario sui luoghi che videro i fatti salienti della difesa di Roma, e riproducono non solo edifici importanti dal punto di vista artistico, malridotti dai combattimenti, ma anche siti semplicemente legati all’evento bellico: il fotografo era evidentemente persona bene informata sui fatti e ne risulta un accurato lavoro di documentazione, su un dopo che riecheggia l’evento.
Accanto a questa sensazione di prima lettura, legata al rigore delle inquadrature e della composizione dell’immagine, in alcune carte salate traspare, senza sbavature o concessioni, la partecipazione emotiva del fotografo al “punto di vista”: è il caso della posa rispettosa di un ragazzo davanti a tre croci a Ponte Milvio.Nella presentazione Maria Pia Critelli scrive: “Fine del Lecchi non era solo fissare l’attualità delle rovine, la conseguenza della guerra, ma di legare e di trasmettere l’emozione o il ricordo a coloro che avrebbero visto le immagini.” Le esigenze narrative così definite ci spingono a considerare questa raccolta un reportage di guerra, o se si vuole un protoreportage.
Le immagini scattate da Roger Fenton in Crimea nel 1855 sono meglio conosciute, e proprio quella campagnia viene generalmente presentata dagli storici della fotografia come il primo reportage di guerra. Sei anni dopo i fatti romani Fenton poteva già utilizzare lastre al collodio umido (nel 1852 in Russia egli utilizzava ancora la carta salata); scrive nel gennaio 1856 in “Narrative of a Photographic Trip to the Sea of the War in the Crimea”, Journal of the Photographic Society of London che esponeva quasi con “l’istantaneità” e che asseconda della luce e dell’obiettivo usato “tre secondi erano spesso sufficienti”.
Date e condizionamenti sintattici a parte la ricostruzione degli eventi bellici operata dall’inglese fu ispirata all’efficacia visiva e dalle attese della commitenza, l’editore di Manchester William Agnew che pensava di realizzare un profitto con le immagini, e del segretariato alla Guerra e dello stesso principe Alberto che aveva incoraggiato la missione; Stefano Lecchi, come scrive Marina Miraglia, “quasi certamente lavorò come committente ed imprenditore di se stesso” e le sue fotografie sono il racconto personale di precisi accadimenti. Ci piace chiudere con le parole di Maria Pia Critelli: “Nelle fotografie egli registra, documenta, fissa quanto era sotto gli occhi di tutti: le opere di difesa, i segni lasciati dai combattimenti, l’imponenza della devastazione, il dopo degli scontri. Sulla superficie visibile appare ciò che resta dell’accaduto, ma attraverso l’immagine è il contesto degli avvenimenti che traspare e viene comunicato”.

Amo soffermarmi sulla fotografia dell'”Antica Osteria Cucina” sul cui muro è scritto l’articolo 5 del Preambolo alla Costituzione Francese del 4 novembre 1848: “La Repubblica Francese rispetta le nazionalità straniere, com’essa intende far rispettare la sua, non intraprende alcuna guerra con viste di conquista, e non impiega giammai le sue forze contro la libertà di verun popolo”. Deve essere stata dura, per lui che giovane pittore era approdato anni prima a Parigi, per studiare fotografia. Anche qui l’attenzione di Stefano Lecchi agli eventi ed al loro significato, dote indispensabile al buon reporter già allora. Il nostro é un vero e proprio free lance a differenza di Roger Fenton nella Guerra di Crimea e Timothy O’Sullivan ed Alexander Gardner nella Guerra di Secessione quali inviati di guerra.

*Una pagina molto ben redatta sulla vita del footografo si trova:

Le immagini riprodotte nel catalogo costituiscono un percorso documentario sui luoghi che videro i fatti salienti della difesa di Roma, e riproducono non solo edifici importanti dal punto di vista artistico, malridotti dai combattimenti, ma anche siti semplicemente legati all’evento bellico: il fotografo era evidentemente persona bene informata sui fatti e ne risulta un accurato lavoro di documentazione, su un dopo che riecheggia l’evento.
Accanto a questa sensazione di prima lettura, legata al rigore delle inquadrature e della composizione dell’immagine, in alcune carte salate traspare, senza sbavature o concessioni, la partecipazione emotiva del fotografo al “punto di vista”: è il caso della posa rispettosa di un ragazzo davanti a tre croci a Ponte Milvio.Nella presentazione Maria Pia Critelli scrive: “Fine del Lecchi non era solo fissare l’attualità delle rovine, la conseguenza della guerra, ma di legare e di trasmettere l’emozione o il ricordo a coloro che avrebbero visto le immagini.” Le esigenze narrative così definite ci spingono a considerare questa raccolta un reportage di guerra, o se si vuole un protoreportage.
Le immagini scattate da Roger Fenton in Crimea nel 1855 sono meglio conosciute, e proprio quella campagnia viene generalmente presentata dagli storici della fotografia come il primo reportage di guerra. Sei anni dopo i fatti romani Fenton poteva già utilizzare lastre al collodio umido (nel 1852 in Russia egli utilizzava ancora la carta salata); scrive nel gennaio 1856 in “Narrative of a Photographic Trip to the Sea of the War in the Crimea”, Journal of the Photographic Society of London che esponeva quasi con “l’istantaneità” e che asseconda della luce e dell’obiettivo usato “tre secondi erano spesso sufficienti”.
Date e condizionamenti sintattici a parte la ricostruzione degli eventi bellici operata dall’inglese fu ispirata all’efficacia visiva e dalle attese della commitenza, l’editore di Manchester William Agnew che pensava di realizzare un profitto con le immagini, e del segretariato alla Guerra e dello stesso principe Alberto che aveva incoraggiato la missione; Stefano Lecchi, come scrive Marina Miraglia, “quasi certamente lavorò come committente ed imprenditore di se stesso” e le sue fotografie sono il racconto personale di precisi accadimenti. Ci piace chiudere con le parole di Maria Pia Critelli: “Nelle fotografie egli registra, documenta, fissa quanto era sotto gli occhi di tutti: le opere di difesa, i segni lasciati dai combattimenti, l’imponenza della devastazione, il dopo degli scontri. Sulla superficie visibile appare ciò che resta dell’accaduto, ma attraverso l’immagine è il contesto degli avvenimenti che traspare e viene comunicato”.

Amo soffermarmi sulla fotografia dell'”Antica Osteria Cucina” sul cui muro è scritto l’articolo 5 del Preambolo alla Costituzione Francese del 4 novembre 1848: “La Repubblica Francese rispetta le nazionalità straniere, com’essa intende far rispettare la sua, non intraprende alcuna guerra con viste di conquista, e non impiega giammai le sue forze contro la libertà di verun popolo”.

Deve essere stata dura, per lui che giovane pittore era approdato anni prima a Parigi, per studiare fotografia. Anche qui l’attenzione di Stefano Lecchi agli eventi ed al loro significato, dote indispensabile al buon reporter già allora. Il nostro é un vero e proprio free lance a differenza di Roger Fenton nella Guerra di Crimea e Timothy O’Sullivan ed Alexander Gardner nella Guerra di Secessione quali inviati di guerra.

Damiano Bianca

Roma, luglio 2001
*aggiornato agosto 2020

Per ulteriori note sui primi reportage vedi:

Cenni sulla storia della fotografia – III parte



*La mostra digitale realizzata su piattaforma Movio nel 2019 dalla Biblioteca nazionale di storia moderna e contemporanea ed il Getty Research Insitute:
https://www.movio.beniculturali.it/bsmc/stefanolecchi/it/28/immagini-con-dettagli

Un particolare ringraziamento al dottor F. Prinzi direttore della Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea per l’autorizzazione a riprodurre le immagini di Stefano Lecchi a corredo della pagina. La proprietà degli originali appartiene alla Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea di Roma a

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